Quando riceviamo conferma di soffrire di un disturbo rimaniamo sempre un po’ scosse. Sapere di non essere in salute genera ansie, paure, sconforto. Emozioni difficili, che non sono limitate al momento in cui lo specialista ci spiega il quadro, ma che possono estendersi anche per un lungo periodo successivo. Come affrontare una diagnosi di PCOS?
Sono davvero tantissimi gli stati d’animo, le sfumature emotive che possiamo provare quando abbiamo problemi di salute. La comunicazione di una diagnosi ci getta repentinamente in un nuovo stato, provocando una frattura nel nostro sentimento di continuità dell’esistere: un momento prima ci ritenevamo sane, al limite ci sentivamo poco bene, avevamo qualche disturbo ma la nostra vita scorreva nella percezione di una costante continuità. Un momento dopo, sperimentiamo l’ingresso in un nuovo modo di essere, negativo rispetto al precedente: ora “siamo malate”. Una versione peggiorativa di noi stesse, di quelle che siamo sempre state. Ma è proprio così?
Anche se certamente grande importanza e delicatezza va assegnata al modo in cui ci viene comunicata una diagnosi di PCOS (lo specialista può davvero fare la differenza rispetto all’impatto psicologico della notizia, dunque è bene affidarsi a curanti sensibili all’aspetto psicologico della propria professione e del programma di cura), è l’idea che abbiamo di noi stesse a guidare l’atteggiamento che struttureremo verso il disturbo e verso il suo trattamento. Insomma: come sempre è il senso che attribuiamo a ciò che viviamo e l’immagine che abbiamo di noi stesse a determinare quanto sarà traumatica la diagnosi. Influenzando anche potentemente la prognosi. Che significato ha la diagnosi di PCOS? Non certo che “siamo diventate malate…” Non abbiamo perso nulla rispetto a prima, non siamo diventate “altre”, non siamo state declassate né allontanate dalla rosa di possibilità e occasioni a noi destinate. Significa che abbiamo un disturbo: significa che il nostro organismo sta attraversando un disequilibrio e richiede attenzione ed azioni dedicate per ri-generare un nuovo stato di buona salute, recuperando una migliore funzionalità.
Le parole con le quali ci descriviamo, la narrazione della situazione che stiamo vivendo sono fondamentali per comprendere bene quanto ci sta accadendo e per affrontarlo al meglio, evitando di aggiungere al disequilibrio anche sovraccarichi emotivi causati dai vissuti che ci assalgono se ci figuriamo tragicamente quanto stiamo attraversando. Dirsi “malate”, darsi per malate significa identificarsi con una condizione negativa che implica passività, squalifica, inferiorità e perdita. Porta a comportarci subito come diverse da prima, come “meno capaci”, come “rotte” e limitate, in perdita. Ci mette in allarme, ci può portare alla rassegnazione, alla colpevolizzazione, perfino alla disperazione cioè al pensiero che saremo sempre così, che oramai saremo imprigionate per sempre in una nuova condizione che ci distanzia dalle altre donne.
Dunque: cominciamo con il definire che cos’è il disturbo, qual è la condizione di perturbazione del nostro equilibrio che ha nome “PCOS”. Chiediamo alla specialista di spiegarci con semplicità ma estrema chiarezza quali sono i meccanismi implicati, senza paure ma anche chiedendo a noi stesse la massima attenzione e curiosità. È un’occasione per conoscere aspetti del funzionamento del nostro corpo che spesso nemmeno conosciamo! Senza indugi, dobbiamo capirci! Capire il nostro corpo e capire che cosa il curante ci sta dicendo, senza imbarazzi o vergogna, senza tralasciare alcuna domanda, anche se ci sembra sciocca, anche se ci fa sentire ignoranti. Se capiamo cosa succede, allora potremmo meglio seguire il trattamento, saremo più consapevoli di quello che dovremo fare e che dovremo evitare. Ciò che non conosciamo ci spaventa, ci sembra fuori del nostro controllo dunque allarmante.
E’ inevitabile il turbamento emotivo alla comunicazione della diagnosi: ma l’unico modo per confinarlo a quel momento è ascoltare ciò che si sta provando, esprimerlo e cercare conforto e consolazione. Ciò che genera dolore non è tanto la notizia in sé quanto la sensazione di essere sole, incomprese, escluse, diverse, isolate. Il partner e l’equipe curante sono il “luogo psichico”, cioè la mente/cuore in cui trovare rifugio, riparo e comprensione. Anche il confronto con chi come noi si sta cimentando nella stessa situazione di vita: le altre donne che soffrono di PCOS. È importante esprimere tutto quello che ci attraversa: la sensazione di minaccia al proprio progetto di vita, a desideri e aspettative; la rabbia; i vissuti depressivi e la paura; l’invidia per chi ci sembra spensierato e “intatto” mentre noi ci sentiamo dis-integrate, un po’ rotte e fallate; la perdita della sicurezza in se stesse. La conferma di soffrire di PCOS ci rende almeno temporaneamente più vulnerabili: ed è bene rispettare questo stato transitorio delicato, che impone calma, tranquillità, tenerezza, ricerca di supporto e consolazione. Un momento in cui accucciarsi, simbolicamente al calore di un fuoco e di una fiamma che non sono tanto quelle concrete di un camino o di un fuoco ma dei nostri legami ed affetti. Sono infatti quelli a dare significato alla nostra esistenza e sono quelli che ci permettono di organizzare risorse e forze, determinazione e positività per rialzarci ed affrontare il cambiamento. È in questo contesto che trova ragion d’essere il sostegno psicoterapeutico, che può configurarsi come uno strumento molto efficace per elaborare l’impatto emotivo della diagnosi ed organizzare gli atteggiamenti ed i comportamenti più adatti a curarsi con efficacia.
Per concludere, possiamo ricordare che il termine “crisi” in giapponese significa contemporaneamente “pericolo” e “opportunità”. In quella cultura dunque si insegna e si assimila che ogni cambiamento, ogni rottura improvvisa dello status-quo (come lo è ogni malattia) non porta solo dolori e rinunce ma apre nuovi orizzonti: la ricerca di un stato di benessere nuovo, che imporrà modifiche nello stile di vita, nuovi incontri, esperienze, momenti di riflessione. È un buon messaggio, profondo ed utile, che sbaraglia un po’ la paura: non credete?