La rabbia di una diagnosi tardiva

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Nella biografia delle donne con diagnosi di PCOS non è infrequente un passato di anni di peregrinazioni da specialisti vari: che non hanno compreso il quadro, impostando pertanto interventi infruttuosi se non dannosi. E che  focalizzandosi sul sovrappeso hanno ad esso imputato ogni altro sintomo, colpevolizzando la paziente per la sua scarsa volontà nel seguire le diete.

Il corpo non mente mai. Se possibile, il corpo di una donna, nell’insieme meraviglioso di cicli e ritmi e funzioni che come uno scrigno custodisce, è ancora più sincero e preciso nel segnalare anche minimi scostamenti dall’equilibrio. Eppure un altro modo di discriminare le donne è di sottovalutare molti “sintomi” che non vengono attentamente ascoltati come tali bensì rubricati e liquidati come semplici fastidi. Lamentazioni. Ancor peggio, non di rado imputati a cattiva volontà e pessime abitudini della donna stessa. Che insomma: alla fine se li cerca.

Sono moltissime le ragazze che cominciano a manifestare i sintomi della PCOS a ridosso del menarca, dunque in età precocissima. In una fase di vita delicata, già funestata da tutti i dubbi, le incertezze, le insicurezze tipiche. Una malattia che grava così tanto sull’immagine corporea, che procura tutto un corredo di disagi che hanno a che fare con la femminilità, con l’accettazione di sé, col rapporto con il partner aggiunge angoscia in un periodo difficile un po’ per tutte. Una sofferenza che non è destinata a risolversi nella crescita, che non rimane confinata all’adolescenza. Perché si cresce, si matura, si ottengono conquiste nell’ambito scolastico e poi lavorativo. Ma tutti i tentativi di cure e terapie per far fronte al malessere ed alle problematiche, soprattutto relative al peso, risultano sempre fallimentari.

Le donne si sentono dire che non sono sufficientemente motivate, che non riescono a tenersi nei confronti del cibo, che sono deboli, che devono avere più volontà. Non vengono credute quando raccontano le particolari sensazioni che le assalgono e che le conducono alle abbuffate. Quello stato interno incontenibile, che ha tutte le caratteristiche del “craving” (la sindrome di astinenza nelle dipendenze) e che è in realtà determinato dalle crisi glicemiche. Le problematiche di irsutismo e di calvizie sono ridicolizzate. L’irregolarità del ciclo viene vista solo come un timer capriccioso, che sarà mai, ne soffrono in tante. I dolori? Origine psicosomatica: che spesso è un modo freddo per dire che le femmine hanno solo delle storie, sono emotive e tutto dipende da quello (per inciso le malattie di origine psicosomatica invece esistono e possono e devono essere trattare perché sono malattie a tutti gli effetti, non semplici fantasie di menti con grande immaginazione). I diversi aspetti della sindrome PCOS non sono correlati tra loro: rimane evidente solo il peso e a quello si dà importanza. A quello si fa la guerra. Chi ne esce ferito, immancabilmente, è la donna stessa. Ferita e sola.

La donna dubita di se stessa, si mette in discussione, finisce per credere alle colpevolizzazioni. Già minata nell’autostima per un corpo che vede diverso e inferiore a quello delle altre, che è convinta la tradisca, che non accetta, di cui spesso si vergogna, piano piano si chiude sempre di più. Non si confida, non parla di sè, limita le relazioni. Si nasconde. Si percepisce incapace, inutile. In molti casi non chiede più aiuto perché ogni nuovo consulto porta nuove offese e altra vergogna. Comincia a pensare di essere davvero lei la causa dei propri mali e dei fallimenti. Si dice che lei non riuscirà mai a fare nulla, ad ottenere nulla.

Con queste dolorose confidenze iniziano molti primi colloqui con le pazienti che si rivolgono a noi. Con questo carico di rabbia, sconforto, frustrazione. Con questo rimpianto per gli anni oramai trascorsi senza essere state nelle condizioni di potersi curare: perché nessuno aveva fatto una diagnosi corretta. Sono donne doppiamente colpite. Che finalmente trovano un luogo (un luogo che prima di tutto è la mente ed il cuore del curante) dove ri-trovarsi. Dove essere riconosciute, dove trovare una completa identità: non quella di pigre e deboli, ma di malate. Che non sono colpevoli di nulla. Che non sono diverse dalle altre donne, o meglio, che incarnano una fisicità oggi così particolare perché necessita di cure particolari. Finora negate.

Donne che hanno un ascolto molto fine del loro corpo: che non devono smettere di ascoltarsi. Anzi. Che possono usare la loro fine sensibilità, da valorizzare e custodire, per rientrare nel ritmo della salute. Perché tutto quello che hanno notato del loro corpo è un segnale prezioso: della malattia, certo, ma anche del sentiero da percorrere per stare finalmente bene.

Oggi il mio abbraccio fortissimo e speciale va a tutte quelle che condividono questa storia. La PCOS è ancora poco conosciuta: e dunque maltrattata. Non disponiamo nemmeno di dati sulla sua diffusione in Italia perché non esistono studi specifici. Risente di un clima culturale più vasto di disparità di genere: è una sindrome esclusivamente al femminile, e, come altre questioni che riguardano la nostra metà del cielo, è legittimata da scienza, medicina e legge con molto più ritardo. Per dire: l’orgasmo femminile fu scoperto solo negli anni ’50! La geografia anatomica e fisica del corpo dell’essere umano è anche una geografia politica…

Cosa possiamo fare? Rivendicare attenzione. Prima di tutto verso noi stesse: è il nostro momento. Siamo protagoniste: niente più umiliazioni. E’ il momento in cui il velo si squarcia, scopriamo di cosa soffriamo e finalmente possiamo fare i giusti passi per stare meglio e risolvere molti dei nostri problemi. Ritrovando salute e serenità. Non possiamo cambiare il passato: ma il futuro è nelle nostre mani. E non solo il nostro! Possiamo avere un ruolo nel cambiare il futuro di altre donne. Schierandoci ogni volta che incrociamo dei pregiudizi: “Hai visto quella? Non si tiene”. Questo sguardo implacabile ed aggressivo , umiliante, in realtà è miope e sciocco. È frutto di una cultura superficiale, che non vede niente e non si cura di niente. Uno sguardo femminicida. È uno sguardo che dobbiamo combattere: sempre.

Diffondendo informazioni, coltivando compassione, offrendo comprensione, uscendo allo scoperto, usando la nostra bella energia al servizio della vita. Nostra e delle altre. Di tutte le donne. Hai il diritto di essere ascoltata. Hai il dovere ed il piacere di onorarti. Siamo tante. Stiamo unite.

Autore: Barbara Alessio

Mi chiamo Barbara e sono una psicologa psicoterapeuta psicodiagnosta. Da quasi 25 anni accompagno le persone in percorsi di crescita, cura, sviluppo. Parlo alle donne per aiutarle nel loro cammino, per non lasciarle sole, per ascoltarle, sostenerle, sciogliere i loro dolori e spronarle a prendere in mano la loro vita e la loro salute. Psicologa con iscrizione all'Ordine degli Psicologi del Piemonte n. 1839.

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