Come ben sappiamo se frequentiamo queste pagine, la PCOS richiede primariamente un regime nutrizionale dedicato: anche se è vero per tutti, in questo caso davvero il cibo diventa la prima medicina.
Se già è impegnativo variare il proprio regime alimentare per seguire la dieta personalizzata messa a punto dalla nutrizionista, in un numero sempre più alto di donne ad aumentare la complessità della questione intervengono le intolleranze alimentari. Fenomeno che sta aumentandosempre di più, e che è altamente controverso in medicina. Perché diventa una questione molto significativa per la donna: dal punto di vista economico (le batterie di accertamenti proposti per fare “diagnosi” sono costose ma approssimative e in certi casi perfino inaffidabili) e soprattutto nutrizionale (nel danno alla salute che può derivare dalle conseguenti indicazioni dietetiche severissime, date dopo i test, con esclusione di interi gruppi di alimenti e quindi con il pericolo di aggiungere anche la beffa della malnutrizione, dovuta alla monotonia alimentare e alle conseguenti carenze vitaminico-minerali). È insomma un grosso problema. Interrogare la psiche forse può offrirci visioni inedite.
A livello scientifico i dati certi di cui disponiamo oggi indicano che le intolleranze alimentari, a differenza delle allergie, non sono immunologicamente mediate, ovvero non interessano e non coinvolgono il sistema immunitario, e sono infatti di difficile accertamento per la mancanza nel sangue di anticorpi specifici che ne confermino la presenza, come invece accade nelle allergie; sono dose-dipendenteovvero manifestanoi loro sintomi in caso di ingestione di alte quantità dell’alimento e sono riconducibili a differenti meccanismi patologici quali per esempio i deficit enzimatici. Ma non solo. Sempre, comunque, presentano i loro sintomi a causa di un malassorbimento intestinale. Non provocano mai shock anafilattico, una grave sindrome, pericolosa per la vita, che si presenta in caso di allergia.
Insomma: sono sempre collegate ad un eccesso dell’alimento non tollerato, contenuto in cibi quotidianamente consumati.Ma attenzione: più spesso di quanto non si creda, sono invece riconducibili a sostanze come additivi chimici, antiossidanti e conservanti, purtroppo oramai molto presenti in quei cibi, consumati ogni giorno e spesso in elevate quantità, tutti lavorati industrialmente. Producendo, si diceva, problematiche a livello digestivo e/o intestinale. Insomma: si cominciano ad accusare sintomi a livello gastrointestinale, come gonfiori, difficoltà digestive, nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, meteorismo, con notevole distensione delle anse intestinali. La terapia delle intolleranze alimentari non si avvale di risorse farmacologiche ma si basa quasi esclusivamente sull’identificazione e l’eliminazione dell’alimento “responsabile”.
Non sono la specialista giusta per parlare della questione da un punto di vista biologico o squisitamente medico, ma quello fin qui illustrato può comunque aprire alcune riflessioni sul versante psichico della faccenda. Soprattutto perché quella di “intolleranza alimentare” non è propriamente una diagnosi certa, mancando sostanze specifiche rilevabili da esami che possano davvero dimostrare direttamente la causa dei disturbi (come avviene, invece, per le allergie, ove si rilevano gli anticorpi specifici).
- Le intolleranze più rappresentate sono quelle al glutine e al lattosio: alimenti che, guarda caso, sono generalmente molto ricercati per gli effetti che carboidrati e latte, grazie alla serotonina che contengono, hanno a livello emotivo-affettivo. Sappiamo che le intolleranze sono ipersensibilità instauratasi per una sorta di “abuso” quantitativo dell’alimento. Forse val la pena, allora, diventare consapevoli del tipo di alimentazione tenuta fino a quel momento. Forse alcuni alimenti sono stati sovrarappresentati nella dieta proprio per gli effetti psichici che mediano attraverso i neurotrasmettitori che contengono o che attivano. Vere e proprie dipendenze, insomma, che in realtà ci parlano di sottostanti sintomatologie ansioso-depressive.
- La sintomatologia delle intolleranze riguarda sempre il sistema gastroenterico, che ormai sappiamo essere il più facile bersaglio dello stress.Apparato estremamente interessante e complesso, ancora in larga parte sconosciuto nelle sue funzioni e, soprattutto, nei delicatissimi interscambi in particolare con il sistema nervoso (ed immunitario) certamente è molto influenzato dallo stress, dunque dalle vicende emotivo-affettive, dalle tensioni, dai conflitti che viviamo. È nell’intestino, e in particolare nell’integrità della barriera mucosa selettiva e assorbente dell’intestino tenue, dove avviene l’assorbimento dei nutrienti, che si gioca la partita delle intolleranze alimentari. Pertanto questi disturbi possono in realtà segnalare variazioni nell’equilibrio proprio di questo sistema: meglio prendersene sempre cura nel migliore dei modi. E, di nuovo, fare attenzione ad incriminare un alimento del nostro malessere, quando in realtà le cause possono stare altrove.
- Quando si ricevono diagnosi di disturbi più o meno cronici, persistenti, spesso poi si proiettano su quel disturbo tutte le nostre paure e tutti le nostre percezioni negative. Qualunque sintomo, allora, anche passeggero, viene ricondotto a quel disturbo. Accade così che la malattia diventi, senza che se ne sia consapevoli, una sorta di alibi in grado di spiegare ogni malessere. L’intolleranza, allora, può facilmente essere chiamata in causa per spiegarci fasi di malessere, che ad essa imputiamo con convinzione. Soprattutto le persone un po’ ansiose, che hanno bisogno di rassicurarsi e di tenere il più possibile tutto sotto controllo, ergono la sostanza non tollerata quale simbolo di ogni male. Attraverso la lettura ipervigile delle etichette dei cibi, l’attenzione un po’ ossessiva per la preparazione nei luoghi pubblici, la strutturazione di abitudini ipercontrollate in realtà strutturano un comportamento ed un corredo di sintomi che ci parlano più della loro ansia che del loro corredo enzimatico.
Per definizione, infatti, il sintomo è sempre la parte finale di un processo patologico: finale e visibile. Possiamo utilizzare la metafora dell’iceberg: il sintomo sarebbe la sommità, la parte che emerge dall’acqua. Ma ciò che lo ha causato può derivare da altri distretti del corpo, da altre funzioni rispetto alla porzione in cui si manifesta, e addirittura le cause possono essere emotive. Per ristabilire il benessere, allora, non basta eliminare il sintomo: anzi, prima bisogna comprenderlo, ovvero ricercarne le radici. Solo allora lo si può guarire.Altrimenti continuerà a tornare, oppure il disagio si sposterà su un altro distretto del corpo. Dal momento che sulle cause prime non si è per nulla agito, quelle continuano a rimanere attive, fonte di malessere e malattia. La causa di un intolleranza alimentare, insomma, può dunque non stare nel cibo in sé ma nella nostra psiche, che ha alterato il funzionamento di altri apparati: forse c’è una sofferenza importante che va scovata, ascoltata, lenita.
Consideriamo anche che le intolleranze riguardano cibi derivanti da lavorazioni industriali o da prodotti che arrivano sulla tavola provenienti da filiere di produzione intensiva: tutti alimenti molto manipolati, consumati fuori stagione o senza rispettare i tempi di maturazione naturale. A ben guardare, la dieta della maggior parte delle persone prevede l’acquisto di cibi non preparati e/o consumati freschi, reperiti nei supermercati. Ci siamo mai chieste se la fatica di mangiare piatti non elaborati, con prodotti provenienti da filiere corte e sempre di stagione, cercando il più possibile di preparare in casa quanto si mangia ed evitando quello che invece si deve acquistare già pronto (dal dado all’inscatolato) sarebbe poi ricompensata con una maggiore salute? Perché anche il pane oramai non è più ottenuto con lavorazioni tradizionali, e spesso, per esempio, non viene lasciato fermentare fino alla fine, risultando poi molto meno digeribile. Sarà il glutine o il lievito in sé a darci dei problemi oppure piuttosto l’utilizzo di farine di bassa qualità ed una lievitazione insufficiente?
Quello del cibo è sempre un argomento molto affascinante. L’alimentazione è una funzione delicata, sovrainvestita nella psiche: mangiare è un atto tutt’altro che semplice, che incrocia cultura, tradizione, business, politica, economica e, soprattutto, personalità del consumatore. Meglio farsi parecchie domande e non avere fretta di rispondersi.Se abbiamo problemi digestivi conviene però adottare un’ottica complessa, ed evitare di primo acchito di additare subito un unico responsabile, ingaggiando con lui una lotta senza quartiere. Perché alla fine, è quella lotta a farci ammalare. Prima di eliminare un’intera classe di alimenti, di trasformare l’acquisto ed il consumo di cibo in un’operazione di investigazione alla ricerca dei criminali per evitarli, di diventare ansiose e fobiche perdendo il piacere ed il gusto, beh, scegliamo gli specialisti giusti ed evitiamo le soluzioni semplici. Rispettiamo la nostra complessità e cerchiamo sempre il meglio. Con equilibrio, calma, e fiducia.