Molte donne che soffrono della sindrome dell’ovaio policistico si guardano allo specchio e non si piacciono, non si riconoscono.
Si vedono diverse, si sentono meno donne, poco femmine. Qual è la portata di questi vissuti nella loro vita? Parliamo solo di stati d’animo? O gli effetti sono molto più estesi e riguardano piuttosto la loro qualità di vita generale? È solo questione di linea e di forma fisica?
Guardarsi allo specchio può metterci tutti un po’ in crisi. Perché ciò che vediamo è in realtà il frutto di un confronto tra la nostra immagine personale e l’immagine di donna che la cultura in cui viviamo propone. La femminilità è oggi un assemblaggio di caratteristiche stereotipate e rigide, imposto dalla moda, dal fitness e dal business. Le pubblicità rimandano continuamente immagini levigate e perfette di corpi femminili, che in realtà sono “omologati”, cioè tutti uguali. Ci viene così imposto “un” modello, che diventa l’unico. Ed ogni volta che ci guardiamo allo specchio, ci confrontiamo proprio con quello. Che non ha difetti: pelli trasparenti e lisce, chiome folte e lucide, vite sottili ma seni prorompenti. Le donne sono tutte delicate. E tutte fatte con lo stampino!
Bene. Confrontarsi con quelle modelle è un problema per la maggior parte delle donne, che presenta corpi normali, con normali inestetismi ed irregolarità. Ma può diventare particolarmente difficile se non angosciante per le donne che soffrono di PCOS. Perché questo disturbo presenta dei sintomi che molto hanno a che fare proprio con quelle caratteristiche fisiche che più sono legate alla femminilità. E che sono il peso e la forma del corpo, la salute e l’aspetto della pelle: tipicamente la pelle si fa spessa e grassa, con problematiche acneiche anche importanti; aumenta la distribuzione dei peli; si verifica un aumento ponderale con una distribuzione delle adiposità tipica degli uomini; l’umore ne risente, con sbalzi ed accessi di reattività ed aggressività ma anche con aumento di ansia e depressione; i cicli mestruali si fanno irregolari ed imprevedibili e con ricadute negative sulla fertilità. Possono innestarsi problematiche legate al desiderio ed alla soddisfazione sessuale. Dal momento che è un disturbo del ritmo ormonale, ovviamente investe le fattezze corporee nel loro insieme. E’ un po’ come se questo disturbo spingesse il corpo nella direzione di una mascolinizzazione. Diventando così una malattia che non riguarda solo il corpo ma anche lo spirito. Le donne si sentono sempre di più a disagio, in conflitto con il proprio corpo che le allontana da una forma che è ideale, sì, ma che tuttavia è quella imperante e imperativa. Si sentono quasi prigioniere nella stessa pelle, avvertono uno scarto tra l’aspetto che hanno e ciò che sentono di essere. Si sentono diverse, si sentono brutte. Perdono sicurezza e stima in se stesse, si chiudono. Arrivano ad odiare il proprio fisico. Prevale così un’immagine di sé negativa e squalificata. Ed iniziano a vorticare dubbi sempre più ossessivi circa la propria inadeguatezza. Si diventa ipercritiche ed il corpo e la forma fisica diventa oggetto di un rimuginio costante, che arrovella e lentamente porta prima all’ansia e poi, spesso, alla depressione.
E cosa accade?
Paradossalmente, tutto questo spesso fa sì che la ricerca di soddisfazione e gratificazione delle donne con PCOS venga spostata su altre sfere della vita. Non è raro che comincino ad inflazionare il lavoro e l’area professionale, lavorando molto, impegnandosi con una profusione di energie maggiore di quella che sarebbe richiesta. È come se questo distogliesse l’attenzione dal corpo. Diventano iperattive e superimpegnate: le interferenze dell’umore possono comportare una quota importante di competitività, di assenza di scrupoli e propensione al rischio. Con la diminuzione, però, della capacità cooperativa, dell’attitudine all’ascolto ed alla qualità del servizio, dell’empatia. Più facilmente nascono conflitti e si sviluppano ostilità interpersonali. Tutto questo comporta un aumento ulteriore di stress, con riflessi negativi sia sulle prestazioni cognitive e sulla sfera interpersonale sia sui sistemi corporei, già stressanti dal disordine endocrinologico del PCOS. Sono così in agguato crolli pericolosi, che integrano anche la possibilità di arrivare a forme di autolesionismo, con abuso di sostanze psicotrope (farmaci, droghe, alcool). Questo danneggia ulteriormente l’immagine di sé. Un’altra reazione ai cambiamenti corporei, è quella di assumere inconsciamente stili, atteggiamenti e comportamenti “maschili”, per ridurre la percezione di sentirsi diverse. L’ansia legata all’identità (sono una donna ma le mie caratteristiche fisiche ricordano quelle dei maschi) viene risolta adottando l’identità del genere cui si somiglia.
Insomma: la PCOS fa cambiare il corpo ma produce anche un cambiamento vistoso nel modo in cui noi stesse ci vediamo, consideriamo e valutiamo. Produce pessimismo e negativismo ma anche il bisogno costante di rassicurazione e di conferma. Già, perché l’immagine che abbiamo di noi stessi è composta da caratteristiche fisiche ma anche da caratteristiche psicologiche quali attitudini, atteggiamenti, stili di relazione, elementi del carattere e del temperamento. Ed implica quindi non solo ciò che lo specchio riflette ma anche il valore che noi diamo a noi stesse, il posto che occupiamo nel mondo, il senso di fiducia e di sicurezza che è legato alla stabilità ed all’equilibrio mentale.
Spesso la medicina si limita ad interventi che riguardano il piano squisitamente organico, fisico, senza comprendere che cosa i sintomi del PCOS rappresentino per la donna. Li valuta a livello ormonale ma non si fa carico della loro portata sul piano psicologico, in termini di vissuto e di cambiamento della qualità della vita. In termini di immagine di sé. Ma non basta occuparsi solo di ormoni ed aspetto fisico: curare la PCOS significa accompagnare le donne a ristrutturare una nuova immagine di sé. Perché la loro percezione corporea ha creato problemi alla loro autostima, ha modificato comportamenti ed atteggiamenti, modi di vestirsi, vita sessuale e sociale. Ha creato ansia, insicurezza, irritabilità, propensione allo scontro ed all’uso dell’aggressività, impulsività e facilità alla frustrazione. Le può aver indotte alla paura dell’intimità con un partner, all’angoscia del rifiuto o alla convinzione di non poter piacere o soddisfare un uomo.
E dal momento che qualsiasi terapia farmacologica della sindrome dell’ovaio policistico viene vanificata dalla persistenza di obesità o sovrappeso, che ripristinano il circolo vizioso patogenetico della sindrome, anche l’inizio ed il mantenimento di un nuovo regime alimentare diventa un grande stress emotivo, che va trattato per scongiurarne l’interruzione. Si tratta di essere aiutate e sostenute in un importante cambiamento dello stile di vita, che riguarda alimentazione, attività fisica, evitamento di comportamenti nocivi (fumo, alcool, droghe).
La PCOS è spesso associata ad uno stress emozionale cronico: il dolore emotivo va accolto, compreso e risolto. Non è un aspetto secondario e collaterale di questa sindrome. Ecco perché un accompagnamento psicoterapeutico è sempre considerato un alleato prezioso: un aiuto per riprendersi la gioia di vivere nel proprio corpo.