Il peso della perfezione

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Sei una perfezionista? Non sei mai contenta dei risultati che ottieni? Fai fatica a concederti riposo? Non riesci ad andare a dormire senza lavare i piatti e lasciare la cucina immacolata? Non permetti a nessuno di stendere perché nessuno lo fa bene come te? Se non è tutto perfetto ti senti tremendamente in colpa? Ti sembrerà strano ma sono tutti atteggiamenti che consumano le tue energie e.. ti ammalano. Sono modalità frutto di un’impostazione ipercritica verso sé stesse, che arriva persino a sabotare la prosecuzione delle diete. Fino a rendere impossibile quel cambiamento dello stile di vita che si rende necessario per alimentarsi in maniera corretta e per mantenere un peso adeguato ed una buona salute. Andiamo a capire perché.

Ci sentiamo ripetere fin da piccole che dobbiamo dare il massimo, essere ubbidienti e fare le cose per bene. Che prima viene il dovere e poi il piacere. Tutti insegnamenti di per sé validissimi che però nella nostra cultura vengono declinati al femminile come istigazione all’abnegazione! Bisogna saper fare tutto e bisogna farlo alla perfezione. Senza mollare nulla, senza delegare niente: sempre aggiungendo nuovi impegni alla lista di quelli già presi. Siamo entrate a pieno diritto nel variegato mondo del lavoro e delle professioni ma niente abbiamo mollato delle incombenze domestiche, nel mito infausto tutto italiano che vede nell’ordine perfetto della dimora il vero valore della vera donna. Dobbiamo essere brave, distinguerci, essere perfette ed avere case perfette. Abbiamo ritmi di lavoro pari a quegli degli uomini ma incastriamo strenuamente tutti gli impegni dei figli di cui ci occupiamo in prima persona, la spesa, la preparazione dei 5 pasti per tutti quanti e pure tutte le faccende di casa. In questo delirio di onnipotenza, i dettagli minuscoli hanno la stessa importanza di quelli maggiori e tutte corriamo forsennatamente inseguite da un implacabile giudice interiore, che non tace mai e ci spinge a consumare tutte le nostre energie nei “doveri”. E nei confronti di tutta la famiglia. Con il risultato di perdere di vista completamente noi stesse. E di ammalarci.

Ti riconosci? In questo modello, siamo guerriere che lottano contro l’orologio e che corrono a perdifiato. E vivono costantemente nell’ansia. Sempre in corsa ed in affanno, sempre impegnate a dare di più ma in realtà mai soddisfatte di nulla, disturbate dal rovello che in realtà ciò che fanno non è abbastanza. Perché non si è riuscite a fare “tutto quello che si doveva”. La verità è che siamo noi stesse ad essere incontentabili, ad essere implacabili, a non concederci mai nulla. Schiave di un’educazione vetusta, figlia del patriarcato, e di un’immagine ideale di sé esagerata e disumana. 

Il perfezionismo è imparentato con la “doverizzazione”, un meccanismo irrazionale che vede noi stesse e la realtà non in modo obiettivo ma alla luce di aspettative e richieste appunto non razionali. Pensieri che ci bloccano perché ci spingono ad agire non per rispondere in maniera adattiva e funzionale alle esigenze del quotidiano ma piuttosto per assecondare convinzioni automatiche, assolutistiche che risiedono dentro di noi e nulla hanno a che vedere con l’ambiente. Il dover essere perfetta, il fare sempre tutto al meglio, non tralasciando nulla secondo scalette ove tutto è urgente e tutto sullo stesso piano ovvero non prorogabile. Le mete sono sempre più elevate, l’ansia è a mille, la compulsività regna sovrana. 

Le donne che sono invischiate e sono prigioniere di questi atteggiamenti e comportamenti corrono il rischio di essere perennemente insoddisfatte. Soprattutto, non hanno mai tempo per sé. Dunque, non hanno tempo per curare la propria salute. E di solito sono in sovrappeso. Eh sì. Sembrerà strano: ma è un modo bulimico di vivere ed il modello alimentare è coerente a quello stile. Tutto si fagocita, si corre, non si tira mai il fiato. Non c’è buon ritmo, non c’è equilibrio non c’è spazio per ascoltarsi, per respirare, per nutrirsi di emozioni buone e di pause. Non si trova i tempo per meditare, per fare la spesa con cura, per preparare cibi freschi e leggeri, per fare attività fisica. E non si è mai soddisfatte perché non è mai abbastanza. Ma anche perchè, nel frattempo, la vita, la soddisfazione per ciò che si è e si fa, ci scivola via dalle mani.

Cosa ne deriva? Una cronica incapacità di apprezzarsi,  attanagliate dalla sgradevole sensazione di essere inadatte, persuase di essere mediocri. Un ideale di perfezione irraggiungibile ingaggia una guerra senza tregua nei confronti di se stesse e del mondo. E finisce per alimentare un’ansia spaventosa ma anche una disistima robusta, non di rado, il bisogno di punirsi oppure di consolarsi, indovinate un po’, proprio col cibo. Una bella abbuffata è spesso il modo in cui si governa l’umore. Queste condotte, insomma, radicalizzano lo schema dello yo-yo: ci si abbuffa di impegni e ci si ipercontrolla senza concedersi tregue (ipercriticandosi e chiedendosi l’impossibile) e poi si cede di schianto perché la pressione interna è diventata intollerabile. Per poi sentirsi in colpa e spingere l’acceleratore nuovamente sulla privazione e la restrizione, secondo l’ideale perfezionista.

Il perfezionismo, insomma, è nemico della salute e del benessere psicofisico, è nemico della dieta ma lo è anche di qualunque percorso di cura e di guarigione. La mentalità da guerriera è dannosa. Questa rigidità non ha nulla dell’equilibrio, dell’armonia, del buon ritmo e della calma che invece sono gli ingredienti fondamentali dello stare bene ed in forma. Portare pesi eccessivi (fisici, emotivi, mentali ed affettivi)  essere incapaci di delegare, vicariare le funzioni e le azioni degli altri componenti della famiglia (ad esempio rifare il letto ai figli, pulire le loro stanze quando sono già giovani adulti, non dividere i compiti di rigoverno degli spazi e delle piccole incombenze che permettono alla famiglia di andare avanti) inflazionando un mal riposto “sacrificio di sé” porta a logorare la nostra persona e a farci ammalare. Si tratta di un chiedersi troppo ma anche di un chiedersi a sproposito: perché è di danno a sé ma anche agli altri, che devono poter imparare a provvedere a sé stessi, ad essere autonomi e a portare il loro contributo alla vita della famiglia. 

La soluzione? Respirare e cominciare a guardare a ciò che si fa alla luce della domanda “davvero è utile a me o agli altri?”. Davvero è necessaria una tale profusione di energie? O sono io che me la impongo? Che sono schiava dell’idea che “devo farlo”? Non è ora che mi legittimi alcune energie per me stessa? Per la mia salute? Ecco la chiave!!! 

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  1. Una marea di preamboli nei quali ammetto di rispecchiarmi completamente… e poi … riducete la soluzione in 8 righe?!?!?
    Non è possibile approfondire il modo x cambiare atteggiamento ?

    1. Buongiorno e… beh… ha ragione Cristina, ha colto nel segno, i meccanismi sono complessi, lei ci si è rispecchiata con facilità ma per molte donne è davvero difficile rendersi conto di essere catturate da quelle dinamiche. Corrono come un criceto nella ruota, intimamente convinte che si debba proprio fare così e che non potrebbe essere altrimenti. Serve delicatezza per aiutare a vedere con chiarezza le trappole. E serve davvero molto lavoro interiore per uscirne. Quelli che lei chiama preamboli vogliono mostrare quanto sia insidiosa e radicata la dinamica. Che è uno stile di vita. Automatico. Estremamente radicato. Le soluzioni non possono limitarsi pertanto a piccoli consigli. Perché un tale approccio minimizza la portata della questione e soprattutto sarebbe inutile: perché le donne fanno veramente fatica a cambiare atteggiamento. Banalizzare il tutto con una lista di cose da fare è inutile. Non aiuta. Gli articoli si prefiggono di fornire chiavi di lettura e di comprensione ad emozioni, vissuti, difficoltà. Cercano di aumentare la consapevolezza. Ma poi trasformare le abitudini ed elaborare i nodi interiori richiede la disponibilità ad un percorso. Che possa accompagnare e sostenere chi decide di risolvere ciò che dentro di se’ blocca e conduce ad autosabotarsi. Non so se può aiutarla, ma nei percorsi con le donne sono soprattutto due le indicazioni che mi trovo a ripetere : imparare a fare ogni giorno una lista di priorità usando l’agenda ( non si può fare tutto, si delega, si rimanda se non è urgente) e cercare ogni giorno almeno venti minuti di riposo e silenzio ( quella che la Wolf chiamava la stanza tutta per se’). Sono indicazioni pratiche e semplici ma… le confido che le devo ripetere moltissime volte. Le donne sanno cosa devono fare ma… non riescono a farlo perché di sentono in colpa a fermarsi, a delegare, a riposare. Le sembra strano? Invece accade così. Ecco perché offriamo l’opportunità della psicoterapia via Skype, comoda e discreta, ed ecco perché ho ideato il coaching on-line. Le donne hanno bisogno per un po’ di tempo di “avere il permesso”, di ricevere il consenso a rallentare, di sentirsi comprese e riconosciute nei loro bisogni perché da sole non ce la fanno. Hanno bisogno di consapevolizzare che il senso di colpa è irrazionale e che non sono colpevoli proprio di nulla nel chiedere qualcosa per se’ stesse. Da sole finiscono nelle retrovie schiacciate dalla doverizzazione. Affrancarsi da tutto questo non è facile. Mi pare di capire che anche lei lo sente. Però di può. Si deve. Noi siamo qui per aiutare e non lasciate sola nessuna. Pertanto se si è riconosciuta inizi la sua rivoluzione. Siamo in tante a portarla avanti. Un caro saluto e buona vita!

      Dott.ssa Barbara Alessio