Una psicoterapeuta per amica

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Anche se è piuttosto diffusa, della PCOS se ne parla ancora troppo poco. Sappiamo che spesso non viene tempestivamente diagnosticata e sappiamo che sono relativamente pochi gli specialisti in Italia che possano essere considerati dei riferimenti. Può produrre sintomi secondo gradi diversi: tuttavia è una malattia cronica, con la quale  si deve imparare a fare i conti. Che può avere un grosso impatto sulla propria vita, in termini di sicurezza personale, stabilità emotiva, stima di sé. Che richiede una gestione precisa affinché si possa rimanere in salute. Come ogni malattia cronica impone di conoscersi molto bene e di educarsi al benessere, imparando a volersi bene. Ma non è facile quando ci si abbatte, ci si spaventa, si pensa di essere diverse dalle altre, e con la frustrante sensazione di aver perso la propria libertà. E soprattutto: sole.

Un disturbo che si riflette in maniera importante sulle fattezze fisiche mette certamente molto in difficoltà le donne, che ancora sono ferme a stereotipi pubblicitari di bellezza di plastica, e con quelli dolorosamente si confrontano. Ma non è solo questione di apparenza e di confronto, di immagine e di forma fisica: non sono solo paturnie. Già, perché il primo problema è far capire agli altri come ci si sente in un corpo che spesso fa le bizze, che si impone con i suoi cicli anomali, che richiede così tante attenzioni, che crea così tanti problemi. Vero? La PCOS è un disturbo poco conosciuto ma anche molto sottovalutato: dal momento che è il regime dietetico la sua miglio cura, chi sta intorno tende a minimizzare dicendo “E dai, in fondo basta che ti metti a dieta!”.

Senza considerare la complessità di una sindrome che coinvolge molti sistemi corporei e che, soprattutto, si annovera fra le malattie croniche. Ovvero, ci accompagnerà, con la sua sintomatologia e con la consapevolezza di averla, per tutta la nostra vita. Tenendone sotto controllo il decorso e gestendone gli effetti. La PCOS, insomma, impone di adattarsi a cambiamenti fisici, comporta vissuti psicologici particolari e richiede l’adozione di precisi stili di vita. Occorre integrare la malattia nella propria identità se si vuole mantenere la salute ed il benessere. Altro che paturnie.

Ma cosa significa adattarsi alla malattia? Che si deve accettare il fatto di avere una specificità, accantonando la rabbia e la frustrazione per non essere “come tutte le altre”. Perché fino a quando combatterai rabbiosamente il tuo corpo, lo rifiuterai pensando che ti ha tradito, che è sbagliato, che è fallato rimarrai in una condizione psicologica sfavorevole alla cura, al benessere, alla serenità. Ti serve invece accettare ciò che sei: non per rassegnarti ma per allevare con pazienza e fiducia le tue qualità e le tue doti. Se è assolutamente comprensibile ed umano provare sentimenti di rabbia, tristezza, apatia, paura e solitudine alla comunicazione della diagnosi, tutti questi vissuti devono essere lentamente elaborati, digeriti. Altrimenti si rimarrà invischiate e prigioniere di una inutile guerra contro se stesse, nell’impossibile sfida di cercare di diventare un’altra, di costruire quell’immagine ideale di se stesse che ci pare di avere perduto e che, invece, non è nemmeno mai esistita.

Certo è una bella botta passare dalla condizione di “sana” a quella, dopo la diagnosi di PCOS, di “malata”: vacilla il senso di certezza e di stabilità, sono in pericolo aspettative e desideri, magari i progetti, ci sommergono paure e cresce il senso di lutto per quella identità del “prima” che abbiamo perduto. E’ precisamente questa esperienza psicologica che non viene capita dall’esterno. Anche perché la PCOS comporta sintomi che ci riguardano nelle relazioni con gli altri e toccano la sfera sentimentale e della vita di coppia, ripercuotendosi sul contesto famigliare. Stiamo parlando del cambiamento nelle abitudini e nei ritmi ma anche delle questioni relative alla sessualità ed al progetto genitoriale.

È possibile che una donna si senta davvero persa, soverchiata. Che non sappia organizzare le forze per adattarsi ai cambiamenti, per imparare a curarsi. È possibile che la diagnosi attivi o riattivi paure profonde, angosce, creando stati d’ansia accentuati o vissuti depressivi che spingono verso la chiusura in se stesse e l’apatia. È possibile che si cominci a vivere “da malate”, chiudendosi alla vita, evitando pian piano ogni sfida esistenziale. È possibile che la rabbia si trasformi inconsciamente in un attacco aggressivo verso se stessa e verso il corpo che ha tradito: generando forme autoadesive che si manifestano con il trascurare la dieta, ignorare le prescrizioni relative all’attività fisica, trascurare la cura di sé, indulgere nell’utilizzo di sostanze psicoattive (farmaci, alcool), incrementare le abbuffate, guastare le relazioni amicali ed affettive a causa di un’irritabilità ed un negativismo esasperante.

Oppure cominciano a nascondersi dietro affermazioni negative relative all’impossibilità di cambiare abitudini “non ho tempo per fare la spesa e/o cucinare”, “non posso più fare niente con questa malattia”, “non riesco a fare la dieta”, “non posso già mangiare con soddisfazione”, “mi sento in carcere”, “mio marito non mi cerca più quindi cosa serve tenermi?”, “non avere figli significa che la vita non ha più senso”, “tanto non guarirò, inutile fare qualunque sforzo”. Qualcuna allontana il partner, perché in realtà si vergogna o si sente indegna. Ma possono anche nascere sentimenti aggressivi verso le altre donne, con ripercussioni negative sulla vita famigliare, lavorativa e sociale. Ti riconosci in qualche aspetto? Ti senti abbattuta? Hai paura? Pensi di non farcela? Non sei sola: puoi chiedere aiuto. Devi sapere che stare meglio è un tuo diritto ma anche un dovere che hai verso te stessa. E devi sapere che un aiuto ti aiuterà non solo a stare meglio ma a ripartire, a trovare le energie, a ri-nascere.

L’esordio di una malattia cronica determina reazioni emotive ma anche comportamentali che rompono gli equilibri organici, psicologici, sociali e familiari preesistenti per cui il recupero di una nuova forma di stabilità non rappresenta un processo immediato bensì una sfida per la donna. Altro che paturnie! Ma attivare una buona risposta, fronteggiare la situazione al meglio permette non solo di ridurre lo stress emotivo della diagnosi ma di costruire quella che viene chiamata una buona “adherence”, ovvero un buon adattamento. Significa accettare il disturbo quale caratteristica della propria identità, modificando le iniziali percezioni di perdita e disperazione. Soprattutto a questo serve la psicoterapia: non è solo questione di ascolto, sostegno, comprensione.

Certamente sono ingredienti essenziali ma non è un intervento di consolazione: è un rifugio sicuro dove imparare ad ascoltarsi per trasformare i vissuti negativi in energia per fare ed occuparsi di sè, per esplorare la vita ed accoglierne le sfide. Per imparare come rispettare la dieta. È un percorso dove si impara a riprendere il controllo sulla propria esistenza, sentendosi in grado di influenzarla e di guidarla verso la soddisfazione e la realizzazione, sentendo che vale la pensa sforzarsi e impegnarsi.

La psicoterapia non è solo uno spazio di contenimento della sofferenza: è una relazione di cura, che insegna a prendersi cura di se stesse. Che sprigiona creatività e forza, motivazione, positività. Che rende libere. Dalle paure, dalla sensazione di non farcela, dal vittimismo asfittico che ci appiattisce sulla sedia, dalle vergogne. Si cerca un senso ma anche si costruisce un nuovo senso. Si riceve incitamento ed incoraggiamento, con l’indicazione di abbandonare tutto ciò che ci fa stare male, distorce i pensieri, toglie energie, blocca. Ecco che torna la sensazione di forza e salute (perchè la salute non è assenza di malattia!!!), la capacità di scovare strategie per stare bene, il coraggio di mollare modalità di reazione inadeguate (rassegnazione, protesta capricciosa, negazione, opposizione). Di investire sulla coppia (si può anche fare terapia di coppia, sai?). La voglia di rischiare. Che cosa? Di vivere.

Autore: Barbara Alessio

Mi chiamo Barbara e sono una psicologa psicoterapeuta psicodiagnosta. Da quasi 25 anni accompagno le persone in percorsi di crescita, cura, sviluppo. Parlo alle donne per aiutarle nel loro cammino, per non lasciarle sole, per ascoltarle, sostenerle, sciogliere i loro dolori e spronarle a prendere in mano la loro vita e la loro salute. Psicologa con iscrizione all'Ordine degli Psicologi del Piemonte n. 1839.